ARTICOLO. I RITORNI A FIRENZE.
I ritorni a
Firenze
(I racconti
dei russi famosi della città famosa)
Nel
gennaio 2017 a Mosca, nella Casa Internazionale intitolata ad Aleksandr Isaevič
Solženicyn ci fu la presentazione del libro di un famoso storico, politologo,
dottore di filosofia Aleksey Kara-Murza “I racconti dei russi famosi della
città famosa”.
Il
libro presentato è l'ultimo di una serie di simili composizioni
memoriali-culturali, dell'autore, composti dalle impressioni dei viaggiatori
russi di Roma (2001), di Venezia (2001), di Napoli (2002), di Amalfi (2012).
Al
primo sguardo, come tra l’altro al secondo, si conferma un progetto commerciale
di successo, fondato sull’interesse tradizionale dei russi verso l’Italia,
sulla sensazione della parentela spirituale con la cultura italiana.
L’autore
stesso, rispondendo alla domanda del giornalista sulle premesse di questa
edizione, ricorda una famosa espressione: “Un italiano è la realizzazione
comica di un russo, un russo invece è la realizzazione tragica di un italiano”.
E dopo spiega: “Per un russo istruito e colto il viaggio a Roma o a Firenze è
stato piuttosto un pellegrinaggio anziché un viaggio ozioso come nella Riviera
francese o alle acque termali in Germania…”
Firenze
è la culla del Rinascimento europeo, è un posto particolare per gli
intellettuali russi. Qui sono stati Herzen e Gogol, qui Dostoevskij scrisse il
romanzo “Idiota”, Čajkovskij creò l’opera “Pikovaja dama”, qui compresero
l’essenza dell’arte gli artisti Benois e Dobužinskij, gli esperti dell’arte
Muratov e Weidlé, i filosofi Berdjaev e Rosanov, gli storici Greaves e
Korsavin, qui presero l’ispirazione i poeti Annenskij e Kusmin, Briusov e Blok,
Gumilev e Achmatova, gli scrittori Osorghin e Zaitsev. Tutti costoro sono stati
dei brillanti coautori di Kara-Murza, poiché le loro impressioni e riflessioni
sono la base del suo libro, che non è una semplice raccolta di memorie.
La
sua struttura è semplice ma ben pensata e impregnata di materiale: dopo la
premessa dell'autore seguono i capitoli di “famosi russi”, che hanno visitato
Firenze. Dopodiché la parola passa ai lettori. Il testo dell'autore è laconico
ed informativo, come se fosse una voce sussurrata dietro le quinte che commenta
in un'unica narrazione gli estratti citati dei diari, memorie, lettere e testi
letterari, in un unico collagene di materiale variopinto.
Il
tono generale di questi frammenti è di ammirazione, diletto e delizia,
confessioni di amore e, riflessioni filosofiche e storico-culturali. Il formato
scelto permette di andare liberamente, senza la custodia dell’autore, con i
compagni intelligenti e sensibili, in una città immaginaria e nello stesso
tempo reale – nello spazio virtuale dei sensi scopribili man mano.
L’autore
non abusa della sua presenza, non generalizza nulla, ma dimostra soltanto gli
slaid immaginari preferendo non esprimere neppure la propria visione. Ha preso
il ruolo di Virgilio, laconico, quasi taciturno, che accompagna il lettore
lungo la città che nei tempi remoti esiliò il creatore della “Divina Commedia”.
Il tema dell’esilio appare sostanziale e significativo nello spiegare la
risonanza spirituale che sorge nei viaggiatori russi quando capitano nella
“città floreale”.
Tutti
i tre epigrafi del libro sono del mancato ritorno.
Il
primo è in memoria del grande reietto Dante preso dalla poesia di Anna
Achmatova: “Neanche dopo la morte / non tornò più nella sua Firenze”.
Il
secondo è una riga della poesia di un grande reietto russo Joseph Brodskij
“Dicembre a Firenze”: “Ci sono delle città in cui non c’è ritorno”.
Il
terzo è l’epitaffio contenente il senso tragico e metafisico: “A quelli che non
furono tornati…” con il commento notevole: “La scritta sulla tomba
dell’ammiratore di Firenze di Lev Karsavin e altri 11 mila morti nel campo di
concentramento di Stalin nominato “Abez”.
Ma
lo stato d'animo che aleggia e che il tono proposto dagli epitaffi è solo
l'inizio. Il libro composto da Kara-Murza contiene lo sforzo creativo per quel
superamento di quel ritorno mancato.
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